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Il Giardino della Paura - Capitolo 1

Capitolo 1

La Paura.

Un emozione a cui nessun uomo si sottrae.

 

Essa agisce imprevedibile sull’istinto facendo sì che l’obiettivo primario sia la sopravvivenza.

Non sempre agisce per il bene; è subdola, il suo brivido scatena irrazionalità con la stessa enfasi di un pazzo che vede persone immaginarie: ti appella a codardo quando non puoi affrontarla; ti fa vedere pericoli lì dove non ci sono e trasforma banalità come colori e persone in minacce.

Il tempo passa, l’uomo si evolve… la Paura rimane. Fa parte della natura, seppur oggi sia molto spesso insensata.

Perché diciamocelo: non c’è battaglia più ardua del dover affrontare la propria paura.

 

È una guerra continua quella contro la Paura, le sue troppe vittorie sono all’ordine del giorno. Il suo scopo è rendere la vita un continuo tortuoso cammino, eppure basterebbe poco per sconfiggerla, ed è con il Coraggio.

Con esso si intende la forza di affrontare le proprie debolezze, imparare a conoscere quello che non fa parte del nostro mondo, alzare la voce per dire quando una cosa è sbagliata perché sta facendo del male agli altri.

Il Coraggio non è un privilegio per pochi o per i più forti, è una virtù che ognuno di noi conserva dentro di sé. È nascosta, difficile da estrarre, ma solo essa può cambiare in meglio la vita.

 

Ma cosa succederebbe se la Paura venisse “tolta”?

 

****

Riccardo Angeli conduceva uno stile di vita soddisfacente, a suo dire.

Aveva il lavoro dei suoi sogni, un bell’appartamento dove fare ciò che voleva e viveva nella città più bella del mondo, Firenze, gioiello dell’arte rinascimentale.

Poteva anche vantare di una salute di ferro e di un bell’aspetto che pochi quarantenni della sua classe potevano esibire senza sembrare già troppo vecchi. Aveva un bel corpo tonico grazie ai continui allentamenti in palestra, pelle ambrata tipica della gente del Sud Italia ma il taglio del viso, gli occhi azzurri e capelli biondi lunghi fino alle spalle caratteristici di chi aveva origine nordiche, la barbetta incolta tutta intorno alla mandibola completava l’opera.

Simili caratteristiche gli avrebbero permesso di sfondare sulle passerelle della moda maschile oppure di diventare nuova icona della televisione italiana. Invece (nonostante gli avessero ripetuto che avrebbe dovuto sfruttare questi suoi pregi) aveva scelto di diventare vigile del fuoco e di dedicare la propria vita nella salvaguardia dell’ambiente e delle persone.

Indossare la divisa nera a strisce gialle dava più soddisfazione di dover camminare come uno zombi su una stretta passerella.

 

Insomma, un tipo come lui poteva avere il mondo ai suoi piedi, per così dire.

E invece no.

Piuttosto, preferiva starsene tranquillo per fatti suoi, accontentandosi facilmente con poco. Difatti Riccardo si poteva definire il classico uomo medio. Si accontentava di ciò che aveva, non mirava a grandi ambizioni e soprattutto non amava le emozioni forti. Cosa strana quest’ultima, considerando il suo lavoro, ma per quello doveva fare eccezione.

La gente, quando imparava a conoscerlo a fondo, cercava sempre di spronarlo a fare qualcosa di diverso e più intenso, a non lasciarsi semplicemente cullare dalle proprie abitudini. Ma lui non voleva, detestava quando succedeva. A lui piaceva il suo limite, non sentiva affatto il bisogno di uscire dalla propria confort zone.

A questo proposito: tra le tante scelte di vita, quella che gli contestavano sempre era il suo continuo essere single.

In tanti anni, quelle poche relazioni avute con le donne non erano mai sbocciate ad intenso sentimento di amore. Non che fossero sbagliate loro, o che lui avesse preferenze diverse, semplicemente l’intesa non era mai scoccata e lui non trovava mai abbastanza carburante per alimentare l’interesse.

Quello era “l’argomento preferito” su cui parlare e al tempo stesso dargli noia.

 

Quella sera Riccardo se n’era andato con alcuni amici in un Pub irlandese vicino a Santa Maria del Fiore.

San Valentino era passato da un mese, eppure era gremito di coppiette indaffarate a gustare insieme in piccoli e sensuali bocconi la cena, musica jazz in sottofondo enfatizzava il crescente erotismo che molti, sicuramente; avrebbero poi consumato con una danza selvaggia in camera da letto.

Gli amici non erano contenti di tanta sdolcinatezza, proprio loro che erano sposati o fidanzati.

Che senso aveva esserlo, se poi non ti lasciavi andare ad un po’ di romanticismo?

Un conto sarebbe stato se qualcuno si fosse lasciato andare un pò troppo alle effusioni.

<< A proposito Riccardo, quand’è che ti troveremo in bella compagnia? >>

<< Forse questa occasione è più vicina di quanto pensiate: ho invitato mia madre a cena. >>

<< E dai, sì serio. Dicci se c’è qualcuno. >>

Angeli nascose un ghigno seccato, si trattava l’ennesimo pretesto per spettegolare (ed anche insistere a sistemarsi) sul suo stato da single.

Non mancava mai l’occasione da parte di chiunque di dispensare “consigli” su come approcciare le donne, o sul perché fosse necessario avere una compagna, e via dicendo… argomenti che aveva sentito e risentito in tutte le salse fino alla nausea; è ovviamente non mancarono con blanda ironia le classiche battute ironiche su sesso, matrimonio e figli. Angeli aveva smesso di ascoltarli dall’inizio del discorso, preferendo concentrarsi sulla fredda birra bionda.

 

La serata tra uomini ebbe termine in concomitanza all’orario di chiusura.

Alla fine l’incontro era stato molto tranquillo, non avevano ecceduto con l’alcool e nessuno aveva proposto idee balzane, ma solo perché domani avevano tutti da lavorare e guai se il capitano si fosse accorto di uno stato non molto lucido.

Ognuno se ne andò per la propria strada, Riccardo entrò in uno dei vicini parcheggi sotterranei molto comuni in città, dov’era più facile trovare un posto per l’auto visto che le antiche strette strade fiorentine non lo consentivano.

Non appena entrò, la calma e il sorriso raggiante che lo avevano accompagnato svanirono in un soffio di vento: il locale era al buio.

Il parcheggio puzzava di muffa e non brillava di pulizia, l’elemento che però aveva notato nell’immediato, da quando era arrivato, era stata la scarsa illuminazione e adesso, come a farglielo apposta, tutto si era spento. Odiava il buio, la sua era una grave fobia che aveva radici molto profonde nella psiche, al punto tale che in camera da letto teneva sempre una fioca luce accesa che gli permettesse, di tanto in tanto nella notte, di vedere cosa ci fosse intorno a lui per sentirsi al sicuro.

 

Nonostante l’impressione che può dare, la sua non è una paura d’infanzia mai superata.

Purtroppo essa ha origini più meste, di quelle che non basta una vita intera da dimenticare.

 

Riccardo strinse i denti e con un minuscolo briciolo di coraggio si fece strada nell’oscurità.

Per  raggiungere la sua Ford Fiesta dovette andare fino in fondo al parcheggio, con la torcia del telefono cellulare fu facile orientarsi ma questa comunque non gli bastava, solo se avesse avuto in mano il sole stesso, molto probabilmente, si sarebbe sentito più tranquillo.

Il respiro accelerava ad ogni passo, da un momento all’altro sarebbe potuto svenire. Finalmente la macchina apparve, mentre tentava di aprire la portiera con la mano tremante, le chiavi tintinnavano così forte da sembrare le campane del Duomo, ci fu un momento in cui la serratura non scattò e gli venne da piangere. Quando infine riuscì ad entrare, accese il motore e scappò rapido, le ruote sgommarono così forte che probabilmente lo sentì tutto il quartiere.

Le luci pacate della città riuscirono a calmarlo, non erano vistose luminarie tipiche di una metropoli come New York o Tokyo ma gli bastavano. Erano luci gentili, adeguate ad una città come sua, fossero state troppe forse avrebbero rovinato quell’aura mistica che ancora aleggiava dai tempi di Leonardo, della famiglia Medici e di Botticelli.

Accese lo stereo; Virgin Radio stava trasmettendo una delle sue canzoni preferite, “Viva Las Vegas” di Elvis Presley.

Cominciò a canticchiare il celebre singolo, imboccando la strada per tornare a casa.

 

****

I signori Angeli vivevano a Malta da quasi sette anni, vi si erano trasferiti dopo che ambedue i coniugi avevano raggiunto la meritata pensione.

Gli era stato consigliato da amici di trasferirsi lì, indicato come uno dei luoghi dove stare e condurre una bella vita da pensionati. Ci avevano riflettuto a lungo prima di prendere una così rilevante decisione, e adesso trascorrevano gran parte delle giornate al mare facendo lunghe passeggiate sulla spiaggia, senza rimorsi per aver lasciato la Toscana.

 

Quel giorno stavano esplorando mano nella mano un mercatino locale sull’isola di Comino, ricco di mercanzia che attirava folle di gente tra turisti e abitanti del luogo: bancarelle ricche di cultura e tradizione incrementavano gli affari dei furbi venditori.

<< Sono pronto a scommettere che questa pattume è “Made in China” >> disse il signor Angeli, osservando con poco interesse i numerosi oggetti che lo circondavano.

Maurizio Angeli era il classico toscano brontolone vecchio stampo che doveva lamentarsi su qualunque cosa non gli piacesse.

Era carabiniere in pensione, perciò era un tipo che pretendeva che le cose si facessero in ordine. Quando camminava pareva marciare come un soldato, gli occhi colo oliva quasi non si vedevano quando teneva un’espressione imbronciata o seria, un naso a patata molto pronunciato e tondo tanto quanto la faccia e la pancia. Che fosse inverno o estate quando usciva indossava sempre un cappello diverso, solo per nascondere la ormai dominante calvizia e per assicurarsi che il parrucchino corvino non volasse via,  e guai a posarci lo sguardo sopra.

<< Non rompere Maurizio. A me i mercatini piacciono. >> replicò la sua signora, mentre si faceva aria con un ventaglio blu elettrico con un ricamo nero.

Vanessa Toninelli era tutto l’opposto del marito per quanto riguardava il carattere.

A guardarla la prima cosa che faceva venire in mente era una “mamma chioccia”; forse perché amava vestire quasi sempre di bianco, aveva il naso a punta ed il caschetto di capelli nero-grigio ricordava il soffice piumaggio di una gallinella. Era molto sociale, spiritosa ed anche un po’ chiacchierona, gli occhi azzurri parevano dei lampioni per quanto luminosi e non c’era verso di non coglierla a non sorridere, la sua arma più efficacie per convincere i clienti a comprare, quando lavorava ancora come modista per sposa.

<< Tesoro, perché siamo dovuti venire qua per cercare il regalo di compleanno per Riccardo? Non potevamo andare al centro commerciale, ove si trova roba migliore, nonchè munito di un ottimo impianto di aria condizionata? >>

<< Voglio comprargli qualcosa di diverso… magari qualcosa di antico che possa mettere in bella mostra nel suo appartamento. È così anonima quella casa! >>

<< È l’appartamento di un single. >>

La signora continuò il suo giro, ignorando i brontolii del marito.

 

Osservò con attenzione ogni cosa che attirava la sua attenzione, roteando da destra a sinistra gli occhi addestrati a notare i dettagli più curiosi.

C’erano tante cose carine che avrebbe potuto comprare, ma sarebbero state più adatte a sé stessa e non ad un uomo come il suo bambino. Se avesse avuto una femmina, anziché un maschio, fare regali negli anni sarebbe stato un lavoro molto più facile da svolgere.

La signora aveva quasi rinunciato quando improvvisamente uno scintillio non la fermò: il riflesso luccicante la condusse in un bancone isolato dal floscio telone verde pistacchio rattoppato in più parti, più lontano da tutti gli altri che stavano appiccicati tra loro, come a voler restare nascosto.

Avvicinandosi, scoprì che cosa l’aveva condotta fin lì: uno specchio rettangolare decorato con una cornice di avorio crema su cui erano incisi strani disegni profondi, riflettendo sulla superficie ben pulita un raggio di sole.

Lo specchio giaceva in mezzo a tanta roba che nemmeno per finta si poteva definire d’antiquariato, disposta disordinatamente sul rettangolo legnoso del tavolo, contrassegnata da piccoli cartellini di carta con il prezzo sopra. Altro fatto strano era che quell’oggetto fosse l’unica pulita e ordinata del mucchio, persino nella sua disposizione pareva che fosse stato messo apposta per spiccare su tutto il resto… come se gridasse di voler essere comprato.

Lo prese per esaminarlo, fu subito colpita dalla leggerezza. Sembrava antico e non pareva un falso, le piaceva molto.

Il venditore, seduto in disparte; dormiva.

Era un uomo dalla carnagione bruna che puzzava di sudore, aveva una folta barba bianca che gli ricopriva le guance e il mento, la testa calva quanto quella del marito.

<< Mi scusi, quanto costa questo? >> chiese a voce alta, svegliandolo.

L’uomo si guardò intorno confuso, poi guardò la donna e l’oggetto che aveva in mano con faccia inebetita. Rimase in quel modo fino a quando non riuscì a blaterare qualcosa:

<< 40 euro. >>

<< Un po’ caro. >>

<< è un pezzo unico. Prendere o lasciare. >>

<< Oh… e va bene. Ecco a lei i soldi. >>

La signora porse le banconote e andò via con il suo acquisto.

Probabilmente, se non fosse stato per suo figlio, si sarebbe tenuta per sé lo specchio.

 

Mentre la guardava allontanarsi, il mercante si chiese da dove fosse saltato fuori quello specchio. Non faceva parte della sua merce, ma aveva subito colto l’opportunità di guadagno.

Quindi non c’era stato bisogno di chiarire l’equivoco.

 

Quella sera il poveretto sarebbe stato ricoverato d’urgenza in ospedale, con segni di gravi percosse e tortura su tutto il corpo quali la mandibola rotta, bruciature di sigaretta e via dicendo.

Ne uscirà vivo, ma psicologicamente distrutto. Non farà più ritorno a casa per timore di ritrovare quello sconosciuto, entrato di nascosto, capace di spezzargli le dita delle mani con la stessa semplicità con cui si spezza un grissino.

 

Un vicino testimonierà di aver visto un uomo con un lungo giaccone fuggire via. Non aveva visto il volto… ma in compenso non avrebbe dimenticato l’inquietante risata folle.

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